Dal basso Medioevo in poi, gli attrezzi da lavoro utilizzati negli orti del Tigullio hanno subito un’evoluzione costante. Uno degli strumenti più antichi e fondamentali è la zappa, conosciuta in latino come “sapelium”. La sua importanza come strumento di colonizzazione dei terreni è documentata in numerosi studi storici.
Negli anni Ottanta, il ricercatore belga Hugo Plomteux ha condotto uno studio etnografico sulla cultura contadina in Val Graveglia, confermando l’uso secolare di attrezzature agricole tradizionali. La ricerca ha rivelato che, nonostante i cambiamenti nel tempo, gli attrezzi utilizzati dai contadini locali erano strettamente legati alla pedologia dei suoli e alle specifiche colture della regione.
Due degli attrezzi più comunemente usati erano la “sáppa cián-a” (zappa piana) e la “sáppa búrca” (zappa bidente). Questi strumenti avevano diverse evoluzioni, adattandosi alle necessità specifiche delle coltivazioni, ma mantenendo sempre le loro caratteristiche tradizionali. Per lavori più particolari, si usavano versioni più piccole e specializzate, chiamate “sapette”.
Nelle comunità più arcaiche, lo stesso artigiano che forgiava gli attrezzi agricoli produceva anche utensili da cucina. Questo legame stretto tra la produzione di strumenti e la vita quotidiana dimostra come il territorio e la cucina fossero interconnessi. Oggi, tuttavia, la produzione di attrezzi agricoli e pentolame è completamente industrializzata.
L’analisi degli attrezzi agricoli del Tigullio offre una finestra preziosa sul passato, rivelando come la tradizione e l’innovazione si siano intrecciate nel tempo. Gli strumenti utilizzati dai contadini non solo riflettono le esigenze agricole, ma anche l’evoluzione culturale e tecnologica delle comunità locali. Questo rapporto simbiotico tra la terra e la cucina ha plasmato l’identità agricola e culinaria della regione, sottolineando l’importanza della tradizione nella vita quotidiana.
Il lavoro ancora oggi è prevalentemente svolto con attrezzi manuali che rimandano alla tradizione. Vediamo quali sono:
Ha due o tre punte; serve per dissodare il terreno più duro; si pianta per circa 30 cm in modo da rovesciare la zolla e far prendere aria alla parte che era più in profondità, così che il terreno si arricchisca di azoto, uno degli elementi che lo rendono fertile.
Si usa per “rimescolare” il terreno, per togliere l’erba o per preparare i solchi dove poi si semina o si trapiantano le piantine degli ortaggi. Serve anche per creare e regolare i solchi con cui vengono irrigate le piante.
Viene utilizzata soprattutto per l’operazione di rincalzo in modo da garantire più umidità alle piante nei periodi di siccità.
È molto simile a una pala solo che a circa 30 cm dal fondo ha una sporgenza di ferro dove si può appoggiare il piede per far forza e affondarla nel terreno. Serve per rimescolare terreni non molto duri.
È uno strumento con cui si taglia il grano o il foraggio stando in piedi. Non è molto facile da usare e per questo veniva utilizzata soprattutto da chi aveva esperienza.
Serve per tagliare piccole quantità di erba; veniva usato principalmente dalle donne che, per evitare di tagliarsi le dita, si riparavano la mano con cui tenevano ferma l’erba con una manciata di fieno, detto “malassa”.
Si usa per pulire e tagliare arbusti e rami un po’ più spessi; il contadino era solito portarla sempre con sé agganciata dietro alla cintura con un gancio a forma di S, detto simpaticamente “Filippa”. In caso di emergenza doveva servire per tagliare dei rami e abbattere ostacoli.
È dotata di un cuneo che serve per tagliare e spaccare legna e travi e per fare la punta ai pali.
Un tempo aveva i denti di legno, mentre oggi sono di ferro; serve a raccogliere foglie o erba tagliata senza trattenere le pietre che sono nel terreno.
È utile per prendere mucchi di fieno e costruire i covoni.
È un pezzo di pietra abrasiva naturale, più o meno ricca di silicio, molto dura e tagliata a forma di prisma; serve per affilare la falce o il falcetto. Si deve tenere a bagno nell’acqua in una fondina, perché in questo modo i detriti raccolti in precedenza se ne vanno. Dopo una decina di volte non si può più affilare l’attrezzo con questa tecnica, ma si deve raddrizzarlo per ricreare il “filo”.
È un cuneo che si conficca nel terreno, è ornato di riccioli che impediscono che sprofondi sotto i colpi della battitura. Serve per rifare il filo e raddrizzare la lama: si mette la falce sopra e con un martello, dalla punta tondeggiante, si colpisce una piccola parte di falce e un’altra di marcia.
Viarengo G., “L’Albero della Cuccagna. Paesaggio, alimentazione e cucina nella Liguria di Levante”, Chiavari, Internòs, 2023
Orale: Anna Maria Scaltriti
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