Un tempo, nelle terre liguri, i terreni agricoli erano quasi tutti gestiti “a manente”. Il proprietario affidava la terra a una famiglia che la lavorava, e il raccolto veniva diviso a metà. Si coltivava molto grano, che veniva trebbiato nelle piazzette davanti alle case. Per rendere il terreno liscio, si spalmava con sterco di mucca. La trebbiatura era un’attività collettiva, così come la sgranatura delle pannocchie di granturco, che avveniva di sera, dopo cena, con l’aiuto e la compagnia dei vicini.
La vendemmia era un altro momento di grande partecipazione comunitaria. Parenti e amici si riunivano per raccogliere l’uva. La colazione per i lavoranti era semplice: formaggio “sciacco”, un tipo di grana tenero e piccante ricco di piccolissimi vermi. Il pranzo era più sostanzioso, a base di stufato di capra, focaccia casereccia e vino a volontà.
Per irrigare gli orti, si usavano vari sistemi: la cicogna (“sigheügna”), i mulini a vento e la noria (“noia”). La noria era una tecnica antichissima: un asino, bendato per evitare che si fermasse a brucare, girava in tondo, azionando una serie di recipienti che risalivano pieni d’acqua da un pozzo. L’acqua veniva poi indirizzata nei solchi predisposti dal contadino.
Fino ai primi anni ’50, l’acqua per uso domestico si attingeva dai pozzi. I più benestanti avevano una pompa a mano. Per il bucato, oltre al sapone, le contadine usavano cenere, liscivia e “turchinetto” per dare una leggera sfumatura azzurra alla biancheria. Lavavano in casa, nei trogoli o presso piccoli corsi d’acqua. A Cogorno, si recavano “in ta vale”, in luoghi come “dai Romani”, alla sorgente “Leisei”, o nella valle di “Muine”.
L’illuminazione, fino ai primi anni ’20, era fornita da lumi ad olio, acetilene e petrolio. Nel 1925, a Cogorno arrivò finalmente l’elettricità, che si estese a tutta la valle entro la fine degli anni ’30. Nelle case più ricche, le prime radio risuonavano nei salotti. I pochi fortunati che le possedevano tenevano alto il volume per permettere anche ai vicini di ascoltare i notiziari e i comunicati di guerra.
Quasi tutti i contadini possedevano almeno una mucca e molti polli. Il gallo più bello era sempre donato al padrone del fondo. I maiali erano numerosi e venivano allevati con “beveroni”, composti di castagne secche e crusca mescolate in acqua calda. I maiali venivano macellati dai contadini con l’aiuto dei vicini, producendo salame, salsicce, lardo e altre prelibatezze. Le famiglie si passavano a turno la coda del maiale, che veniva messa nel minestrone per insaporirlo.
Nelle frazioni liguri, numerosi erano i lattai e le lattaie. A tarda sera raccoglievano il latte dai contadini e la mattina presto lo portavano alle famiglie di Lavagna e Chiavari, trasportandolo in bidoni sulla testa o con secchi appesi alle braccia. Tornate a casa, si dedicavano ai lavori dei campi, al bestiame, ai lavori domestici e ai numerosi figli.
I ragazzi, pur andando a scuola, dovevano aiutare nei campi. Spesso, terminato l’obbligo scolastico, a 15 anni si recavano a Lavagna o Chiavari a fare il garzone (“boccia”), imparando il mestiere di muratore. Partivano all’alba con un panotto di granturco del giorno prima e dei fichi secchi, posti dentro una manica della giacca annodata al polso, che costituivano il loro pasto del mezzogiorno.
Bruschi R., Lebboroni S., “Ritratto di Cogorno. L’antico feudo dei Conti Fieschi attraverso le sue memorie storiche”, Genova, De Ferrari Editore, 2000
Bertani A., “Come vivevamo. Case, cibo e salute dei contadini in Liguria a fine Ottocento”, a c. di Marengo A., Savona, pentàgora, 2021
Plomteux H., Cultura contadina in Liguria. La Val Graveglia, Genova, Sagep, 1980
Porcella M., “La fatica e la Merica”, Genova, Sagep, 1986
Viarengo G., “L’Albero della Cuccagna. Paesaggio, alimentazione e cucina nella Liguria di Levante”, Chiavari, Internòs, 2023
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